Una follia tutta spagnola
Dal diritto linguistico al delirio normativo: il caso catalano
“I servizi in catalano saranno protetti dalla legge e si eviterà l’ingerenza nelle competenze della Generalitat grazie all’introduzione di una disposizione aggiuntiva in materia”.
Con queste parole, il 16 settembre 2025, Junts per Catalunya (Insieme per la Catalogna) ha celebrato l’accordo con il PSOE (Partito Socialista Operaio Spagnolo) per introdurre modifiche al disegno di legge che regolamenta i servizi al cliente. Questa modifica consentirà “di garantire il diritto dei cittadini a essere serviti in catalano dalle aziende”, secondo i sostenitori di Puigdemont. Tuttavia, questa protezione “è irresponsabile e comporterà costi aggiuntivi”, avvertono i dirigenti aziendali.
Rendere obbligatoria l’assistenza in catalano per tutte le grandi imprese del Paese non è un atto di tutela linguistica, ma un delirio politico che va analizzato punto per punto.
L’accordo, si legge nella nota, riguarderà i settori dell’elettricità, del gas, dell’acqua, della telefonia, dell’aeronautica, delle ferrovie, degli autobus, delle poste, dei media audiovisivi a pagamento (piattaforme), dei servizi bancari e finanziari, delle assicurazioni, dei servizi pubblici, di qualsiasi altra azienda con più di 250 dipendenti e di quelle con un fatturato annuo superiore a 50 milioni di euro.🤦♂️
Un delirio irresponsabile
Dal punto di vista linguistico e culturale, la misura parte da un principio teoricamente nobile (difendere una lingua co-ufficiale), ma lo applica con una logica coercitiva e sproporzionata, trasformando la tutela in imposizione. Si confonde il diritto individuale con l’obbligo collettivo: non si rafforza una lingua rendendola una barriera, ma favorendone l’uso spontaneo, l’istruzione e la promozione culturale.
Sul piano economico, poi, è davvero insensato: si scaricano costi enormi su imprese e servizi — anche in settori ad alta complessità tecnica — senza un reale beneficio per i cittadini. Anzi, si rischia di ridurre la competitività e creare discriminazioni nel lavoro, poiché chi non parla catalano verrebbe escluso a priori.
Infine, da un punto di vista politico, è un’operazione puramente simbolica e di scambio: una concessione fatta per tenere in piedi equilibri parlamentari fragili. È il classico esempio di come un governo debole possa trasformare la lingua — un patrimonio culturale — in un’arma ideologica.
👉In sintesi, una misura fuori luogo, economicamente autolesionista e politicamente opportunista.
Va anche precisato che:
1️⃣ In Catalogna, il catalano è la lingua veicolare principale dell’insegnamento. Questo significa che la maggior parte delle materie (matematica, scienze, storia, ecc.) viene insegnata in catalano, non perché sia “prima lingua” in senso linguistico o affettivo, ma perché la legge catalana sull’educazione lo stabilisce come lingua d’uso normale della scuola.
2️⃣ Il castigliano (spagnolo) è comunque obbligatorio come materia di studio. Tutti gli studenti catalani devono studiarlo e impararlo, e il sistema scolastico deve garantire che al termine del percorso abbiano piena competenza sia in catalano che in castigliano.
3️⃣ I due idiomi sono considerati lingue co-ufficiali e complementari, non alternative. Il modello linguistico catalano si basa sull’idea del bilinguismo integrale: promuovere il catalano come lingua propria del territorio, senza escludere lo spagnolo.
👉 In sintesi:
Nonostante la scuola privilegi il catalano come lingua veicolare, il castigliano è conosciuto e parlato da tutti i catalani. Il sistema educativo e il contesto sociale garantiscono un bilinguismo molto solido.
Lingua minoritaria
Il catalano si parla esclusivamente in Catalogna e in alcune zone limitrofe, eppure si vuole imporlo a livello nazionale come se fosse una lingua universale. Si dimentica che la lingua ufficiale e comune a tutti gli spagnoli è il castigliano, che garantisce comprensione immediata ovunque. Tutti i catalani lo parlano correttamente, il che dimostra che non esiste un reale problema di comunicazione. La misura, quindi, appare più come un gesto simbolico di imposizione che non come una necessità concreta. Inoltre, la diffusione del catalano al di fuori della Catalogna è quasi inesistente, il che rende ancora più artificiale e forzata questa decisione.
La realtà linguistica in Catalogna: tra mito e dati ufficiali
In Catalogna il catalano è la lingua veicolare principale del sistema educativo, ma lo spagnolo (castigliano) resta obbligatorio come materia di studio e d’uso quotidiano. La legge catalana sull’educazione stabilisce che il catalano sia la lingua d’uso normale della scuola, tuttavia il modello linguistico è fondato sul bilinguismo integrale, con l’obiettivo che tutti gli studenti acquisiscano piena competenza in entrambe le lingue.
I dati più recenti dell’Institut d’Estadística de Catalunya (IDESCAT), relativi al 2023, mostrano con chiarezza la situazione reale:
Questi numeri smentiscono l’idea, diffusa in alcuni ambienti politici, secondo cui lo spagnolo sarebbe in posizione di svantaggio in Catalogna.
Anzi, il quadro mostra che quasi il 100 % della popolazione catalana parla perfettamente lo spagnolo, con percentuali di comprensione, lettura e scrittura addirittura superiori a quelle del catalano stesso.
Una lingua europea mancata
Non bastava imporre il catalano a livello nazionale: la richiesta formale al Consiglio dell’UE è stata presentata dal Governo spagnolo il 17 agosto 2023 ed è stata discussa il 19 settembre 2023, senza ottenere l’unanimità. Il dossier è stato rilanciato anche nel 2025 (Consiglio Affari Generali del 27 maggio e del 18 luglio), ma la decisione è stata di nuovo rinviata per dubbi giuridici e per i costi di traduzione.
L’iniziativa resta bloccata, rivelando ancora una volta quanto la politica linguistica spagnola possa sconfinare nell’assurdo, inseguendo simboli invece che soluzioni concrete.
Sovracosti ingiustificati
Obbligare aziende con 250 dipendenti o più a mantenere personale, formazione e strutture dedicate a un servizio richiesto solo da una minoranza è pura burocrazia che genera sprechi, un vero colpo di mano autoritario per imporre una lingua minoritaria: un delirio di potere assurdo.
Non si tratta di un piccolo dettaglio: si parla di costi aggiuntivi per call center, sportelli di assistenza, traduzioni, assunzione di personale bilingue e aggiornamento costante dei sistemi. Tutto questo graverà inevitabilmente sui bilanci delle imprese, riducendo la loro capacità di investimento e innovazione. Alla fine, chi pagherà realmente saranno i consumatori, con servizi più cari e meno efficienti.
Competitività ridotta
In un contesto già gravato da tasse elevate, inflazione e pressione sociale, imporre ulteriori obblighi significa frenare l’economia e ridurre la competitività delle imprese. Le aziende straniere potrebbero scoraggiarsi dall’investire in Spagna se vedono crescere vincoli burocratici e costi ingiustificati. A lungo termine, questo provvedimento rischia di danneggiare i settori strategici, come il turismo, la tecnologia e i servizi, che vivono di flessibilità e rapidità. Un Paese che punta a restare competitivo non può permettersi il lusso di intrappolare le sue imprese in un ginepraio normativo e linguistico.
Impatto sul mercato del lavoro
Un aspetto spesso sottovalutato riguarda l’occupazione. Se l’obbligo venisse confermato, molte imprese sarebbero costrette ad assumere solo personale in grado di comunicare anche in catalano. Questo significa che chi cerca lavoro in tali aziende dovrebbe padroneggiare una lingua minoritaria non necessaria nella vita quotidiana del resto del Paese. In pratica, si creerebbe una barriera artificiale che penalizzerebbe i lavoratori qualificati ma privi di conoscenze linguistiche specifiche, riducendo le opportunità e aggravando ulteriormente le distorsioni nel mercato del lavoro.
Strumentalizzazione politica
Questa non è una misura pensata per i cittadini, ma un’arma di scambio tra Governo e nazionalisti catalani per blindare accordi di potere e mantenere fragile la stabilità politica. Il linguaggio della tutela culturale serve solo come copertura per un calcolo elettorale. La difesa delle lingue minoritarie viene trasformata in una bandiera ideologica utile a pochi. Ancora una volta, la politica dei palazzi dimostra di essere totalmente inadeguata e lontana dai bisogni reali della società.
Se questa linea verrà confermata, il rischio concreto è di alimentare nuove fratture sociali, di minare la già scarsa fiducia nelle istituzioni e di aggravare le difficoltà economiche del Paese.






